Ultimo si è confidato al Corriere della Sera con un’intervista intima, che non solo parla di musica ma anche delle sue fragilità, i suoi stati d’animo e la sua vita privata.
Ultimo, nome d’arte di Niccolò Moriconi, è sempre stato un ragazzo molto sulle sue. Molti abilitano questo suo carattere ad una persona che se la tira, ma in realtà, come afferma lui stesso, è soltanto una timidezza. Una caratteristica che ci fa capire che lui è un ragazzo normale di 27 anni, uno come noi: con le sue debolezze e fragilità. Questo è uno dei tanti motivi per cui è molto amato: per la sua fragilità.
Il 30 Maggio uscirà il suo documentario “Vivo coi sogni appesi” su Prime Video, questo è ciò che scrive Ultimo presentando il suo documentario sui social:
Non è un documentario. È la mia vita.
Ho sempre scelto di non raccontarmi troppo attraverso i social, ho sempre lasciato che a parlare fosse la musica.
La mia musica partita da un pianoforte in una cameretta e che è riuscita ad arrivare dentro gli stadi di tutta Italia.
Non è autocelebrazione, spero davvero che chiunque stia inseguendo un sogno che sembra lontanissimo possa trovare guardandolo la forza di cui ha bisogno. Perché la mia è una storia semplice, senza effetti speciali: avevo un pianoforte e le mie parole. Nient’altro.
Io ho scelto di chiamarmi Ultimo e di provare a vincere con questo nome, proprio per tentare di ribaltare i pronostici.
Non so se posso già dire di aver vinto, posso dire però che sto giocando la partita che volevo giocare.
Ritornando al discorso dell’intervista, si è molto confidato con il giornalista Aldo Cazzullo, vi riportiamo alcune delle domande più interessanti.
Quando comincia la musica per lei?
«A otto anni. Pianoforte. L’ho studiato per dieci anni, all’inizio con il maestro Santi Scarcella, che saluto. Mio papà Sandro mi spingeva su una strada più protetta, ma mia mamma Anna mi ha sempre incoraggiato. È una sorcina persa, ascoltavamo Renato Zero tutto il giorno. C’è un verso che mi è rimasto impresso: sana ingenuità. Io sono così: sanamente ingenuo».
Lei in realtà si chiama Niccolò Moriconi. Perché ha scelto di chiamarsi Ultimo?
«Con gli amici del parchetto ci chiamavamo Les Miserables, come il romanzo di Victor Hugo, l’avevamo anche scritto per terra con lo spray. La nostra chat su WhatsApp si chiama i Miserabili. Avevo pensato a Miserabile anche come nome d’arte; ma suonava davvero male. Ultimo invece mi è parso subito perfetto. Un biglietto da visita dettagliatissimo».
Nel docufilm che sta per uscire, «Vivo coi sogni appesi», si vede lei ragazzino che canta al mercato di Testaccio, davanti a un pubblico non enorme… Come andò?
«Fu un disastro. Mi sembra di sentire ancora l’odore del pesce. Tre file con cinque sedie, quasi tutte vuote. Ricordo una signora di settant’anni che aveva il banco al mercato, due ragazzini di passaggio, e cinque amici che erano lì per me. Le assicuro che è molto più difficile cantare per otto persone che per ottantamila. Chiedevo: potete venire qui davanti? Ma non si muoveva nessuno. Così ho suonato da seduto, per avere il pubblico all’altezza dei miei occhi».
Nel film la si vede anche negli stadi; e sembra che non abbia fatto altro nella vita.
«Il palco è l’unico posto in cui mi sento al sicuro. Ma ogni volta prima di salirci sono convinto di stare per svenire».
È ipocondriaco?
«Sì, nel senso che vorrei avere tutto sotto controllo; ma nessuno può avere tutto sotto controllo. È cominciato quando a sedici anni, per preparare un esame di ammissione a un liceo, mi sono fatto un’intera caffettiera e mi è venuta la tachicardia. Mi sottopongo a due, tre visite alla settimana. Devo ricordarmi di bere più acqua, perché l’ecografia indica che sono sempre disidratato. Ora da tredici giorni ho smesso di fumare. Ma mi sa che ricomincio. So che è sbagliato, ma senza è tremendo».
Ha provato anche le droghe?
«Tutte (Ultimo sorride). Scherzo. Ogni tanto la sera una canna me la faccio, soprattutto in California dove è legale. Mi rilassa. Non dico sia giusto, è meglio non farlo, così come è meglio non bere coca-cola e non mangiare hamburger da McDonald’s. Non ho il mito della marijuana, ma credo che andrebbe legalizzata».
«I tuoi particolari» aveva trionfato nel voto popolare, ma la sala stampa fece vincere Mahmood, e lei ci rimase male.
«Sono tornato quest’anno a Sanremo, proprio perché l’avevo lasciato in un modo che non mi era piaciuto, e volevo riappacificarmi con il festival. Non ne avevo certo bisogno per rialzarmi, ero reduce dal Circo Massimo e da quindici stadi, ma volevo esprimere la mia riconoscenza per quel palco e per quello che c’è dietro, per tutto quello che rappresenta».
Che idea si è fatto?
«Forse perché non sono passato da voi giornalisti. Perché sono arrivato direttamente al pubblico. Perché faccio malvolentieri la promozione dei dischi, questa forse è la prima vera intervista della mia vita, anche perché stiamo parlando da due ore e non mi sembra di star facendo un’intervista. Forse perché vivo per i fatti miei, di carattere sono schivo, solitario, e questa mia lontananza viene interpretata come se me la tirassi. Forse perché ho iniziato con un’etichetta indipendente, poi quando ho visto che il mondo della musica è pieno di personaggi squallidi che si approfittano degli artisti alle prime armi mi sono fatto un’etichetta mia, la Ultimo Records».
Nel film compare un’ex fidanzata, Federica.
«Con lei fu speciale, in una canzone ricordo il 22 settembre, il giorno in cui la portai sulla ruota di Londra…».
Ora sta con Jacqueline, la figlia di Heather Parisi. Come vi siete incontrati?
«Ho visto la foto di una giacca disegnata da lei, con una pezza a forma di chitarra, e le ho scritto: “Vuoi essere la chitarrista del mio prossimo tour?”. Ci siamo dati appuntamento a Trastevere, il quartiere dove è nata. Sono arrivato con uno zainetto e quattro birre. Abbiamo parlato tutta la sera, era tanto che non passavo una sera normale. Il giorno dopo lei partiva per l’America».
E poi?
«Ci eravamo innamorati, senza esserci mai dati un bacio. Ha una naturalezza, una solarità, un modo di essere invisibile ai più. Volevo capire cosa si nascondeva dietro di lei. Così appena è stato possibile l’ho raggiunta in America».
Come immagina l’aldilà?
«Giallorosso».